Facebook è indubbiamente il social network più popolare, poiché dispone di oltre 70 lingue e già nel 2012 aveva un miliardo di utenti. Di fatto, oggi, non si parla più con il telefono ma con Facebook. In taluni casi, irresponsabilmente si straparla e si incorre nel reato di diffamazione.
Nel 2012, in Italia, approda per la prima volta in un’aula di giustizia Facebook e quindi la sua potenzialità lesiva emerge sotto molti profili. Il caso riguarda un ex dipendente di un centro estetico che, ritenendo di essere stato licenziato ingiustamente, consigliava agli altri utenti di non rivolgersi presso quel centro. Dichiarava che gli operatori di quel centro non erano professionali.
Le espressioni di questo tenore divulgate su Facebook vanno ad integrare il reato di diffamazione, nella forma aggravata dall’uso del mezzo di pubblicità.
Partendo dal fatto che essendo Facebook un social network gratuito, può coinvolgere un numero indeterminato di persone che comunicano tra di loro, si scambiano contenuti, opinioni visibili ad un altrettanto indeterminato numero di persone.
Gli utenti di Facebook sono quindi consapevoli che i post sono visibili, laddove non venga selezionata un apposita voce che rende il contenuto visibile solo ad alcune persone o addirittura privato. Quindi il fatto che altri utenti possano vedere certi contenuti è voluto.
Di conseguenza anche l’uso di espressioni con valenza denigratoria, offensiva e o addirittura diffamatoria integrano gli estremi del reato di diffamazione.
Nel reato di diffamazione incorre anche chi, nella propria bacheca, condivida un messaggio diffamatorio, anche se scritto da altri.
Nascono discussioni nel caso in cui ci sia solo il “mi piace”, o la condivisione; va valutato il caso per caso in base alle impostazioni privacy selezionate da ciascun utente.
Non sempre poi, gli utenti si rendono conto della visibilità, della potenziale risonanza di ciò che si scrive e che non tutte le espressioni sono consentite…Insomma il senso del limite è difficile da far rispettare. Nel reato di diffamazione l bene giuridico protetto è il concetto di reputazione: è tutelato quindi l’onore in senso oggettivo – cioè la considerazione in cui l’individuo è tenuto dalla comunità in cui opera ed è conosciuto.
L’offesa alla reputazione non riguarda solo l’ambito personale, ma consiste nella aggressione alla sfera del decoro professionale.
L’onore è infatti l’insieme delle doti morali (onestà, lealtà) mentre il decoro comprende qualità non propriamente morali ma afferenti quelle etiche, professionali e fisiche.
La reputazione si identifica con il senso di dignità professionale, in conformità all’opinione del gruppo sociale, secondo il particolare contesto storico.
Non potranno essere quindi accettate, in giudizio, dichiarazioni da parte dell’imputato che cerchi di scriminare il reato di diffamazione ascritto. Non vale dichiarare di essere ad esempio “amico dell’amico” e quindi di non rientrare tra gli amici; di esercitare il diritto di critica.
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