Quando può parlarsi di sottrazione di internazionale di un minore? Quando vi sono i presupposti per applicare la Convenzione dell’Aja ? Il caso.

Il padre di un bambino, nato e vissuto per i primi mesi della propria vita in Olanda, luogo lavorativo di entrambe i genitori italiani, denuncia la sottrazione internazionale del figlio da parte della madre. Quest’ultima, tornata in Italia con il minore per le vacanze di Natale, con il consenso del padre, ha prolungato il proprio soggiorno anche a causa di una patologia medica. Alla richiesta del marito di recarsi presso la nuova abitazione di Londra, città nella quale la coppia aveva precedentemente deciso di trasferirsi per esigenze lavorative, la moglie oppone rifiuto e, contestualmente, avanza richiesta di separazione dal coniuge. Il padre, pertanto, ricorre l’Autorità Centrale inglese al fine di ottenere il rimpatrio del minore, e fonda la propria richiesta sulla presupposta residenza abituale del minore in Londra, in ragione della concorde decisione presa con la moglie, co-firmataria anche del contratto di locazione.
Il PM presso il Tribunale per i Minorenni di Bologna, ricevuta la richiesta per tramite dell’autorità centrale competente, ricorre il Tribunale per i Minorenni di Bologna per l’accertamento dell’applicabilità della convenzione de l’Aja del 25 ottobre 1980. Il T.M. di Bologna, nei termini stabiliti dalla suddetta Convenzione (6 settimane) ha ritenuto di non emettere l’ordine di rimpatrio del minore, ritenendo l’Italia la residenza abituale del minore.
Il caso di specie impone di analizzare la fattispecie della sottrazione internazionale di minore, il criterio della c.d. residenza abituale del minore e relativo quadro normativodi riferimento, rappresentatodalla Convenzione de l’Aja del 1980 e dal Regolamento Bruxelles 2bis del 2006. Il Regolamento di Bruxelles 2 bis integra le norme della Convenzione e stabilisce che il giudicante, per la sua applicazione, verifichi che sia garantito il rispetto dell’art. 8 CEDU, avente ad oggetto la vita privata e familiare in ragione del superiore interesse del minore.
La Convenzione trova applicazione al verificarsi dei seguenti requisiti: 1) diritto di affidamento violato deve provenire dalla legge o da provvedimento dell’autorità giudiziaria o accordo omologato dal tribunale a seguito della separazione; 2) diritto di affidamento deve essere effettivamente esercitato dal genitore che ha subito la sottrazione; 3) il minore non deve avere più di 16 anni; 4) non deve essere stato prestato il consenso all’espatrio da parte del genitore che lamenta la sottrazione; 5) non deve essere trascorso più di un anno dalla sottrazione; 6) dalla restituzione non deve derivare alcun danno morale e materiale per il minore; 7) il minore non deve essersi opposto al rientro; 8) la restituzione non deve violare l’art. 8 della Convenzione dei diritti dell’uomo. Per sottrazione internazionale di minore si intendono, quindi, quei casi nei quali il minore è condotto all’estero illecitamente da un genitore che lo sottrae al luogo di residenza abituale (s.i. attiva) o quando il minore non è ricondotto (s.i. passiva) nel suo paese di residenza abituale dal genitore non esercente l’esclusiva responsabilità genitoriale, in violazione del diritto di affidamento. La finalità della Convenzione è quella di assicurare il rimpatrio immediato del minore illecitamente condotto e trattenuto sul territorio di altro Stato contraente all’interno della sua c.d. comfort zone. Ciò che deve essere ripristinata, dunque, è la situazione di fatto consentendo al minore l’immediato rientro nel paese di residenza abituale.
Emerge immediatamente la prima criticità che consiste nel concetto di residenza abituale. Quale è la residenza abituale del minore?
Il concetto di residenza abituale, come contemplato nella Convenzione si identifica secondo prevalente giurisprudenza, quale residenza di fatto.
Non si tratta di un concetto giuridico ma di criterio fattuale il cui accertamento passa necessariamente da una valutazione effettuata in concreto sul singolo caso. La residenza abituale non è infatti il solo luogo fisico, ma l’ambiente nel quale si coltivano i legami affettivi e la sua funzione è preservare il corretto sviluppo psicofisico del minore. Così inteso si identifica nella residenza effettiva e non necessariamente con quella prevalente in senso strettamente temporale.
Sul punto è intervenuta anche la Cassazione a Sezione Unite con la pronuncia n. 5418/2016 che definisce la residenza abituale quale «il luogo del concreto e continuativo svolgimento della vita personale e non quello risultante da un calcolo puramente aritmetico del vissuto”….” il centro permanente ed abituale dei propri interessi e relazioni, sulla base di una valutazione sostanziale e non meramente formale ed anagrafica, essendo rilevante, ai fini dell’identificazione della residenza effettiva, il luogo del concreto e continuativo svolgimento della vita personale ed eventualmente lavorativa alla data di proposizione della domanda».
Anche la Corte di Giustizia Europea ha chiarito che, essendo la residenza abituale nozione di fatto, l’intenzione iniziale dei genitori di stabilire la residenza del minore nello stato di loro comune residenza non può prevalere sullo stato di fatto o che il minore sia nato ed abbia soggiornato ininterrottamente per i suoi primi mesi di vita con uno dei genitori in un altro Stato. Infatti la sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione europea, ha stabilito che anche nel caso in cui il minore sia un lattante, la residenza abituale è determinata “dalla persona o dalle persone di riferimento con le quali vive, che lo custodiscono effettivamente e si prendono cura di lui, e che egli condivide necessariamente l’ambiente sociale e familiare di tale persona o di tali persone”.Di conseguenza, quando, come nel caso che ci occupa, “un lattante è concretamente custodito da sua madre, in uno Stato membro diverso da quello in cui risiede abitualmente il padre, occorre prendere in considerazione, la regolarità, le condizioni e i motivi del soggiorno della genitrice nel territorio del primo Stato membro e, le origini geografiche e familiari della madre nonché le relazioni familiari e sociali intrattenute da quest’ultima e dal minore nel medesimo Stato membro”.
In ragione delle considerazioni si qui svolte, emerge chiaramente che non vi sono i presupposti giuridici e di fatto per l’applicazione della Convenzione: diritto di affidamento derivante dalla legge e l’effettivo esercizio del diritto in questione.
Gli strumenti a disposizione del padre si restringono ai rimedi ordinari dell’ordinamento interno italiano; quindi, in sede di separazione dei coniugi, il padre potrà insistere per l’esercizio effettivo dell’affido condiviso e eccepirne la violazione nel caso di impossibilità a mantenere un rapporto equilibrato e continuativo quale genitore non convivente . I genitori sono italiani e sposati in Italia, le norme dell’ordinamento italiano regoleranno la crisi del rapporto di coniugio oltre l’affidamento del figlio (Affidamento esclusivo). Pur potendo ricorre in Cassazione, unico rimedio previsto per impugnare la decisone del T.M., il difensore interpellato, sconsiglia fortemente tale soluzione. La Corte, infatti, potrebbe verosimilmente rigettare il ricorso rilevando l’assenza dei requisiti essenziali per l’applicazione della Convenzione de l’Aja (La Convenzione dell’Aja e protezione del minore), poiché la residenza abituale del minore, secondo l’orientamento prevalente e il dato di fatto, può ben dirsi radicata in Italia, come anche l’esercizio del diritto di affidamento prevalente in capo alla madre. Non gioverebbe, infatti, impostare il ricorso sulla base delle scelte di vita e residenza concordemente stabilite tra i genitori, senza tenere conto del fatto che la residenza abituale deve essere individuata sulla base del preminente interesse del minore che consiste nel proteggerlo dagli effetti nocivi derivanti da un suo trasferimento.

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