L’assegno divorzile, nella comune conoscenza, consiste nell’obbligo di uno dei coniugi di versare periodicamente all’altro coniuge una somma di denaro quando quest’ultimo non ha i mezzi adeguati o comunque non può procurarseli per ragioni oggettive. L’assegno viene quindi ad incarnare una funzione assistenziale e insieme compensativa, oltre che risarcitoria fin dal 1970. Il giudizio era infatti incentrato sulle scelte endofamiliari che avevano portato allo squilibrio ingiusto tra le parti. I criteri di quantificazione si prestavano però a giudizi discrezionali che hanno portato la dottrina a rivederne l’impostazione.
Le differenze intervenute, con la modifica dell’art. 5 Legge n. 898/1970, furono fondamentalmente le seguenti:
l’indagine comparativa dei redditi e dei patrimoni dei coniugi fondato sul deposito di documenti fiscali, su poteri istruttori officiosi al giudice; unione di tutti gli indicatori (condizioni dei coniugi; reddito; contributo personale ed economico dato alla famiglia; ragioni della decisione) della prima parte della norma; la condizione dell’insussistenza dei mezzi adeguati e dell’impossibilità di procurarseli. (questa era la vera innovazione in quanto assente nella precedente formulazione).
Nel 1990, poi la Corte di Cassazione individua nell’assegno di divorzio una funzione assistenziale: ciò che rileva per la sua quantificazione non è lo stato di bisogno, ma il deterioramento delle condizioni economiche dovute al divorzio, in questo senso l’assegno si connota di un carattere assistenziale .
In netta contrapposizione con la precedente impostazione, la Cassazione nel 2017 con la sentenza n. 11504, individua il criterio dell’adeguatezza dei mezzi del coniuge istante; attraverso questo percorso si giunge all’orientamento odierno per cui per calcolare l’assegno di divorzio occorre, Sentenza delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione n. 18287 del 2018, quantificare in base ad un criterio c.d. composito: a seguito di una valutazione comparativa delle differenti condizioni economiche, deve essere valutato l’apporto fornito dall’ex coniuge richiedente alla formazione del patrimonio comune e personale, in relazione alla durata del matrimonio, alle potenzialità reddituali future e all’età dell’avente diritto.
Il criterio composito è un parametro che si fonda su principi costituzionali della dignità e solidarietà che dovrebbero riguardare l’unione matrimoniale anche dopo lo scioglimento del vincolo. Cambia lo strumento di ragionamento e non esistono più le due fasi dell’indipendenza economica e del tenore di vita.
Tale criterio invita quindi ad una valutazione caso per caso, infatti, non tutti i matrimoni sono uguali: si chiarisce che occorre riconoscere al coniuge più debole, qualcosa in più: “si assume come punto di partenza il profilo assistenziale, valorizzando l’elemento testuale dell’adeguatezza dei mezzi e della capacità (incapacità) di procurarseli, questo criterio deve essere calato nel “contesto sociale” del richiedente, un contesto composito formato da condizioni strettamente individuali e da situazioni che sono conseguenza della relazione coniugale, specie se di lunga durata e specie se caratterizzata da uno squilibrio nella realizzazione personale e professionale fuori del nucleo familiare. Lo scioglimento del vincolo incide sullo status, ma non cancella tutti gli effetti e le conseguenze delle scelte e delle modalità di realizzazione della vita familiare. Il profilo assistenziale deve, pertanto, essere contestualizzato con riferimento alla situazione effettiva nella quale si inserisce la fase di vita post matrimoniale, in chiave perequativa-compensativa”. La principale funzione dell’assegno è quella “riequilibratrice”: contiene in sé una funzione assistenziale, alimentare e perequativa; non vi è più la divisione tra an e quantum, ma il Giudice dovrà valutare tutti gli elementi forniti dalla legge ma in modo preminente valuterà in quel misura e modo il richiedente ha partecipato alla famiglia, cosa ha sacrificato. Quindi nella quantificazione non si può tenere conto del solo grado di autonomia economica, ma delle aspettative professionali ed economiche eventualmente sacrificate, oltre che l’età, la durata del matrimonio. Si può parlare quindi di assegno perequativo in funzione risarcitoria. Così il c.d. tenore di vita viene individuato in senso causale rispetto a cosa ha realmente fatto il richiedente per la famiglia. In sintesi rileverà da un punto di vista oggettivo la disparità di situazione economica e sarà fondamentale l’elemento causale, ossia la disparità determinata dalle scelte comuni assunte dai coniugi in costanza di matrimonio. Sarà interessante leggere le interpretazioni che i Tribunali daranno in merito alle scelte comuni e o condivise, intese nel senso dell’art. 144 c.c. e quindi i risvolti applicativi di questa pronuncia, che di fatto rielabora anche il concetto di tenore di vita.
www.avvocatoansidei.it